Da qualche tempo si sente parlare sempre più spesso del fenomeno della shrinkflation. Questa parola che deriva dall’unione del verbo “to shrink” che vuole dire restringere e “flation”, inflazione, è una tecnica di marketing utilizzata dalle aziende, che consiste nel ridurre la quantità di prodotto all’interno delle confezioni lasciando però il prezzo invariato.
Questo stratagemma è possibile trovarlo su diverse tipologie di prodotti, come pasta, detersivi, pacchi di biscotti o comunque sui prodotti acquistati abitualmente e, in questo periodo, caratterizzato da aumenti generalizzati dei prezzi, per i consumatori diventa ancora più complicato fare la spesa, ritrovandosi con quantità inferiori di prodotto e il portafogli più leggero.
Questa pratica di per sé non è illegale, però è possibile definirla eticamente scorretta nei confronti dei consumatori che sono soliti acquistare i prodotti in base al prezzo del prodotto piuttosto che in base alla quantità. Anche l’Antitrust, a seguito di segnalazioni su questo fenomeno, ritiene che la questione può essere approfondita in relazione all’applicazione del Codice del Consumo considerandola una pratica commerciale scorretta. Nello specifico, ciò che può essere condannato alle aziende, non è la modifica della quantità del prodotto quanto la mancata trasparenza dell’informazione sui prodotti.
Quindi, un consumatore come può rendersi conto che il prodotto che sta acquistando è soggetto a shrinkflation? L’unico modo è quello di controllare il peso o il volume del prodotto facendo attenzione a verificare il prezzo al chilo o al litro. Solo così è possibile capire se il costo è proporzionato alla quantità che stiamo comprando.