La pandemia da Covid-19, dichiarata tale dall’OMS l’11 Marzo del 2020, si è abbattuta fortemente oltre che sul sistema sanitario anche sul sistema economico del nostro Paese. All’indomani del lockdown totale, in una situazione emergenziale mai gestita prima, fatta di scelte apparse affrettate ma necessarie a ridurre la trasmissione di un virus sconosciuto e pericoloso, quasi tutti i settori produttivi sono stati costretti a fermarsi, ad eccezione di quello alimentare.
Nonostante questo i consumatori, impauriti e confusi, hanno reagito istintivamente con l’immediato approvvigionamento di beni alimentari, allo scopo di riempire le dispense e far fronte ad eventuali ristrettezze. La mancanza di alcuni prodotti dai banchi dei supermercati per periodi abbastanza lunghi, come gli indimenticabili lievito e farina, ne è stata la prova.
Sebbene il settore alimentare continui tutt’oggi ad essere quello meno investito dalla crisi economica causata dal Covid-19, il funzionamento garantito della filiera ha inciso, incomprensibilmente, sul portafogli dei consumatori.
Dai supermercati, ai piccoli negozi di quartiere, alla spesa on-line o a quella a domicilio, l’evidente rialzo dei prezzi è stato riscontrato da tutti i consumatori un po’ ovunque.
Già dalla primissima fase del lockdown, i consumatori hanno subìto un notevole aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei beni per la cura della persona: secondo le rilevazioni ISTAT ad aprile 2020 l’aumento è stato del +1,2% circa rispetto allo +0,3% del mese di febbraio. A novembre 2020, ancora, l’ISTAT riporta un’impennata dei prezzi del cosiddetto carrello della spesa pari al +1,5%, dato che secondo le stime provvisorie di Marzo 2021 sembra essersi ridotto al +0,8% circa. Una percentuale che rimane comunque alta rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e che si traduce in un conseguente aumento della spesa per le famiglie, soprattutto di quelle con redditi medio bassi che si trovano nella condizione di dover limitare i propri i consumi.
Le giustificazioni al rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità, soprattutto nel primo periodo di lockdown, non sembrano trovare spazio nelle motivazioni espresse dagli addetti ai lavori: riduzione dei trasporti, limitazione della produzione, minore concorrenza tra punti vendita della stessa categoria, a causa della limitazione negli spostamenti delle persone, conseguente mancanza di attività promozionale da parte dei negozi stessi. Nel settore ortofrutticolo, quello maggiormente colpito dal rincaro dei prezzi, gli aumenti sono stati attribuiti alla mancanza di manodopera nella raccolta dei prodotti e al conseguente rincaro di base messo in atto dai produttori. Ma se la tendenza di tutta la popolazione, dall’inizio della pandemia, è stata quella di assicurarsi beni di prima necessità, contribuendo consapevolmente, o meno, a mantenere saldo il settore agroalimentare, come è possibile che ci sia stato un notevole rincaro di questi beni? Semmai, sarebbe dovuto accadere il contrario.
L’ipotesi più plausibile è inevitabilmente associata a comportamenti di natura speculativa da parte di molti esercenti, per fortuna non tutti, che “approfittando” di un momento così drammatico e della reazione istintiva della popolazione, guidata dall’incertezza, hanno gravato ingiustamente sulle tasche di tutti i consumatori.
Ne consegue che, a più di un anno dall’inizio della pandemia, ci si trova a fare i conti con evidenti diseguaglianze: da un lato coloro che gravitano nei settori più colpiti dalla pandemia (ristorazione, turismo, settore sportivo, partite Iva, commercio al dettaglio, badanti, lavoratori in nero) che si sono trovati nella condizione di dover ridurre il loro potere d’acquisto, con gravi conseguenze sociali e non solo economiche e, dall’altro, chi guadagna di più riuscendo a mantenerlo più o meno invariato.
Ad ogni modo, il consiglio rivolto ai consumatori, tutt’oggi sempre valido, è quello di continuare o iniziare a segnalare alle autorità competenti tutte le anomalie che si riscontrano sull’aumento dei prezzi dei beni, soprattutto di quelli di prima necessità, per dare voce a un disagio concreto a favore di tutta la collettività