Il termine “junk food” è entrato oramai a far parte del nostro vocabolario come molti altri termini anglofoni. Viene utilizzato per indicare una tipologia di cibo considerato malsano a causa del suo basso valore nutrizionale e dell’elevato contenuto di grassi e zuccheri. Alimenti che troviamo quotidianamente ovunque, per strada, le preparazioni industriali o quelle servite nei frequentatissimi fast-food, sono esempi di cibo spazzatura. Mangiamo troppo e male, conducendo, spesso, una vita sedentaria.
A consolare la nostra coscienza, ecco l’iper-palatabilità, ossia una particolare sensibilità dell’organismo ai gusti arricchiti con sali, zuccheri e grassi da parte dei produttori di cibo, interessati a creare in noi una dipendenza che non ci faccia smettere di volerne sempre di più. Fattore, questo, che i produttori cercano meticolosamente di controllare, perché è l’incontro col palato del consumatore a decretare il successo di un prodotto alimentare. Il gusto viene, letteralmente, assemblato in laboratorio da squadre di chimici e ricercatori.
Un processo a cui avevamo già assistito con le sigarette, anch’esse potenziate da additivi vari. Centrare l’obiettivo è semplicissimo. Molte le strade, tra cui la più semplice e battuta è quella di aumentare sali, zuccheri e grassi. Un’altra tecnica è rendere i cibi così morbidi da poterli ingurgitare in un sol boccone, senza masticarli tanto e deglutendoli facilmente. Tutti accorgimenti che stimolerebbero i recettori nervosi, dando dipendenza.